Questa mattina lo Shinkansen (treno proiettile) ci ha condotto in meno di un’ora nella prefettura di Tochigi, a 70 km da Tokyo, per visitare lo stabilimento Fujitsu di Oyama, il maggiore dei tre che la multinazionale vanta in questa regione.
Fondato nel 1959 lo stabilimento è ancora estremamente ben
tenuto e impegna su diversi impianti 2200 persone occupando un totale di
150.000 metri quadri. All’interno dell’Oyama Plant si producono sistemi
elettronici per la fibra ottica, sistemi elettronici per le reti di
comunicazione mobile, sistemi elettronici per il settore sottomarino e per il
settore sicurezza (polizia e pompieri). E’ inoltre presente un’università
interna (Fujitsu University) per la formazione di tecnici e ingegneri.
Il profilo della domanda del mercato servito da questo stabilimento negli anni ha subito un consistente mutamento a causa dell’evoluzione tecnologica del mercato ICT e di fenomeni macroeconomici ad esso legati (quali la bolla speculativa dell’IT del 2002). Tutto ciò ha fatto sì che il management si trovasse a dover rivedere le logiche organizzative per mettere in grado la produzione di seguire un mercato la cui domanda è divenuta sempre più frammentata.
Mentre negli anni ’80 lo stabilimento era stato addirittura premiato per il forte livello di automatizzazione del processo produttivo, e adottava una logica di produzione di massa basata su di un limitato numero di modelli da gestire il nuovo scenario economico ha convinto il management ad intraprende un percorso di incremento di flessibilità delle linee basato sui principi del TPS.
L’Ing. Akira Tokumori, nostro cicerone nel corso della
visita, è il responsabile del Monozukuri Group.
Come sappiamo il termine giapponese “monozukuri” in senso
lato identifica proprio “lo spirito di fare le cose”, dal nome del suo gruppo
si evince quindi che si tratta di una unità organizzativa dedicata al
miglioramento del processo produttivo.
Il flusso dei materiali va dal basso all’alto (ricezione e accettazione
si trovano infatti al piano terra), mentre quello produttivo va dal quarto
piano al primo (il processo inizia al quarto piano e al quinto si trova invece
la Ricerca e Sviluppo).
La nostra visita, coerentemente al macro ciclo industriale
del prodotto realizzato, ha quindi inizio dal quarto piano.
Al quarto piano sono presenti nove linee automatiche di
montaggio di schede elettroniche. La variabilità dei volumi e dei lotti
prodotti su queste linee è altissima, andando da basso rotanti con lotto pari a
7 pezzi fino ad alto rotanti con lotti anche da 100 pezzi.
Il secondo piano (montaggio manuale) richiama i prodotti
alto rotanti attraverso il kanban mentre i basso rotanti vengono prodotti su
ordine seguendo una logica FIFO definita dal programma di produzione.
Interessante la compresenza all’interno dello stesso stabilimento di due
produzioni con caratteristiche completamente diverse, una di massa, con volumi
abbastanza alti e regolari e conseguentemente gestita col kanban, l’altra
estremamente variabile e con bassi volumi, e gestita di conseguenza in logica di
produzione su ordine e avanzamento FIFO.
La distinzione tra le due gestioni è rimarcata anche dal
colore dei carrelli “bamboo” utilizzati per la movimentazione e stoccaggio
(bianco per i codici a kanban e nero per i basso rotanti).
Sulle linee di montaggio superficiale delle schede
elettroniche è stato fatta una grande attività di riduzione dei vincoli legati
al cambio attrezzature raddoppiando i supporti delle bobine dei componenti in
modo da consentire l’attrezzaggio in tempo mascherato (mentre la linea
funziona). Il cambio dei materiali avviene in pochi minuti lungo tutte le
postazioni (macchine di montaggio) della linea (analogo a ciò che si fa per
alcune macchine utensili).
Il bilanciamento delle diverse macchine componenti ciascuna
linea è invece realizzato programmando opportunamente il mix dei diversi codici
da produrre durante la giornata.
Le capacità degli operatori sono presidiate ed esposte su
matrici delle competenze che per ciascun operatore e ciascuna linea
identificano le seguenti tre abilità di base:
- è’ in grado di alimentare la macchina con i componenti:
- è in grado di realizzare un cambio prodotto (setup);
- è in grado di controllare la macchina in funzionamento.
In estrema sintesi il quarto piano di stampaggio automatico
può essere descritto come un esempio di automazione flessibile in cui i vincoli
delle macchine e degli uomini sono ridotti al minimo attraverso opportune
tecniche lean (SMED e addestramento pianificato mediante le matrici delle
competenze).
Al secondo piano dell’edificio si svolgono l’assemblaggio
manuale e il test delle schede elettroniche stampate al quarto piano.
Le schede assemblate in questo stabilimento sono molto
complesse, e il processo non è completamente automatizzabile. Alcuni componenti
richiedono tutt’ora operazioni di saldatura manuale.
Alle schede realizzate al quarto piano vengono quindi saldati
altri componenti prelevati dal magazzino componenti di reparto.
La fornitura in kit dei componenti aggiuntivi da parte degli
operatori logistici consente agli operatori produttivi di spingersi fino a una
logica di “one piece flow”, realizzando lotti anche unitari.
Anche nelle logiche di gestione di questo reparto permangono
differenze tra la modalità di gestione adottata per gli alto rotanti e quella
dedicata ai codici con bassi volumi. La composizione del kit dei basso rotanti
è infatti realizzata manualmente con picking guidato da monitor su carrello ,
collegamento RFID e segnalazione del prelievo da parte dell’operatore che
consente di verificare in automatico la correttezza del kit prelevato. Per quanto
riguarda i codici alto rotanti e più ripetitivi la verifica di correttezza del
kit composto è invece meramente basata sull’esperienza e sul controllo visivo.
Per essere più flessibili nel gestire il kitting di molti
modelli diversi qualche anno fa si è addirittura scelto di smantellare la
precedente gestione basata su agv a banda magnetica per tornare a carrelli
spinti manualmente dall’operatore logistico.
Nel caso degli alto rotanti il poka yoke in fase di
composizione del kit è gestito con soluzioni visual estremamente semplici ed
efficaci. Nell’alloggiamento di ciascun tipo di componente di ciascun carrello
di kitting sono infatti presenti delle minuscole fotografie (es. bryce canyon,
palla da calcio, ecc…) che, essendo analogamente posizionate sugli scaffali di
kitting, consentono all’operatore una veloce verifica visiva di quanto
prelevato senza dover perdere tempo a leggere il codice scritto o il relativo
ideogramma di descrizione.
E’ un vero peccato non aver avuto l’opportunità di
fotografare questi carrelli, che evidenziano la capacità nipponica di
semplificare all’estremo processi in apparenza molto complessi.
Questa capacità, ci viene confermato, deriva anche dal fatto
che il popolo giapponese trovandosi a dover usare caratteri alfabetici molto
complessi (gli ideogrammi) ha sviluppato molto la capacità di utilizzare
simboli per comunicare concetti (il manga non nasce a caso in Giappone),
capacità che ha portato con se anche in ambito organizzativo e aziendale.
E’ interessante notare che questa soluzione così semplice ma
al contempo così potente ed efficace è stata suggerita dagli operai stessi, che
in ottica kaizen vedono attuate almeno tre proposte di miglioramento a testa
all’anno.
Anche in questo piano dello stabilimento, come al
precedente, il ritmo del processo produttivo giornaliero è scandito da un
grande tabellone Andon elettronico.
Scendiamo infine al primo piano dove avviene la produzione
dei rack di alloggiamento ed il montaggio finale dei componenti al loro interno.
Notiamo l’ordine, la pulizia e i ritmi di lavoro decisamente più ridotti tra
gli operatori di banco (coloro che effettuano la vera e propria attività a
valore aggiunto) rispetto ai logistici.
Trattandosi di componenti ad alto valore le fasi a valore aggiunto
sono svolte con grande attenzione e non c’è particolare focalizzazione sul
ritmo di lavoro, che appare decisamente più elevato nella fase logistica e di
preparazione dei kit di alimentazione (a non valore aggiunto).
Durante gli spostamenti in Shinkansen il gruppo è rimasto stupito
dagli esempi di applicazione del visual management visibili anche nelle
stazioni ferroviarie.
Nelle foto sotto l’esempio di gestione delle code (due file
differenti, una per il treno veloce in arrivo e una per il successivo) e i
segnali visivi che identificano il numero di carrozza che si ferma nella data
posizione della banchina in relazione allo specifico tipo di treno.
I treni veloci sono la spina dorsale di questo paese sin
dagli anni sessanta, e consentono ogni giorno a quasi un milione di giapponesi di
spostarsi in modo puntuale, veloce e preciso per lunghissime distanze. Non a
caso anche qui come in azienda la complessità è gestita mediante ordine mentale
e semplici soluzioni visual.
Stasera arriveremo a Kyoto, antica capitale del Giappone, e
domani pomeriggio visiteremo Daikin.
Matteo Bianchi
Lean Club
Matteo Bianchi
Lean Club
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